Articoli su Giovanni Papini

1929


Domenico Vittorini

Il romanzo italiano contemporaneo

Pubblicato in: Italica, vol. 6, fasc. 4, pp. 113-116.
(113-114-115-116)
Data: dicembre 1929



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A gettare uno sguardo d'insieme sulla letteratura narrativa italiana di oggi se veggono le ombre di tre grandi figure della passata generazione fluttuare in essa e determinarvi tre distinte correnti. Il sano e schietto naturalismo di Giovanni Verga è stato continuato e sviluppato da Grazia Deledda nei suoi romanzi intorno alla Sardegna. L'estetismo di Gabriele D'Annunzio si è trasfuso nella novellistica decadente di Guido da Verona. Il misticismo di Antonio Fogazzaro si riverbera nel romanzo neo-idealista che esprime le lotte e le conquiste della nuova generazione.
   Ci limiteremo ad una trattazione sommaria di questa ultima tendenza che rappresenta una nuova direzione dello spirito italiano. La rivolta della gioventù italiana nei primi anni di questo secolo assunse la forma di una ribellione contro il decadentismo di Gabriele D'Annunzio, contro il grossolano materialismo del tempo, contro il positivismo filosofico e la falsità che inquinavano la vita politica, sociale e morale del paese. Gli avvenimenti politici che sconvolsero la vita europea ed italiana, l'avventura coloniale, gli scandali che misero a nudo il luridume del parlamentarismo, e finalmente la grande guerra del 1914 contribuirono a svegliare nella coscienza dei nuovi uomini la credenza che la vita italiana doveva ricostruirsi su basi più nobili e spirituali. Questi arditi uomini nuovi avevano una chiara coscienza che il loro atteggiamento verso la vita era totalmente differente da quello della generazione passata, e che essi aprivano un nuovo orizzonte alla vita del paese. Alfredo Panini in Il Padre e il Figlio, 1905, ci fa sentire quale barriera separasse questi moderni Amico dai loro padri. In questa novella il padre è tutto occupato negli affari e non sa comprendere la fredda solitudine in cui il figlio si macera e rumina le sue idee.
   Questo tema riappare frequentemente nella novellistica contemporanea. Federico Tozzi in Con gli occhi chiusi, 1919, d presenta l'ostilità che separa lui, anima mistica, chiusa nel tormento del proprio pensiero, e suo padre, prosaico albergatore in quel di Siena.
   Parlando dei suoi amici—Piero Janier, Giovanni Papini e Scipio Slataper, Giuseppe Prezzolini scrive: "C'era in quei giovani un grande bisogno di reagire alla retorica che essi sentivano nella poesia professionale e storica del Carducci ed in quella mitologica e imaginifica del D'Annunzio" 1.
   Al principio del nostro secolo si trovarono faccia a faccia due generazioni: una rappresentata da Gabriele D'Annunzio ed i suoi epigoni, l'altra formata da un gruppo di uomini come Luigi Pirandello, Alfredo Panini, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Enrico


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Thovez, e Federico Tozzi che rappresentavano l'alba della nuova vita italiana.
   Ogni generazione si crea il proprio ideale di vita, ed ancora una volta il vecchio ed il nuovo cozzavano nel ritmo fatale che governa la storia. La nuova generazione non comprendeva più la grandezza del D'Annunzio, perché quella grandezza nascondeva una dolorosa povertà di contento. Il superuomo, ai loro occhi, non era che un uomo ordinario che sotto i pomposi drappeggiamenti della retorica celava un'anima debole e paurosa. Essi volevano contenuto e non forma, volevano vita e non imagini, lotte vere, valori spirituali e non volgare sensualità imbellettata de altisonanti aggettivi. Così scrive Mario Puccini, giovane scrittore di oggi, dell'ambiente letterario di quegli anni: "Era il tempo in cui molti iddii dominavano il nostro cielo letterario. Si raccontavano cose maravigliose e strabilianti intorno al D'Annunzio, un uomo che galoppava per le campagna romana e cantava le sue canzoni apollinee a muse di carne e di ossa, le signore dell'aristocrazia romana; un uomo che insultava i soldati che erano morti in Africa; un giovane dalla gola d'oro, dalla chioma bionda, felice e famoso per la sua fortuna con le belle donne e per le melodia di ogni sua parola, simile a quella degli antichi dei e semidei" 2. La nuova generazione era assetata di un nuova verità, e ce ne informa lo stesso Puccini. "Gli occhi dei giovani cercavano qualche cosa di meno esteriore, di più sostanziale e più intimo. Cercavano quel sentimento umano e quella verità de cui D'Annunzio aveva allontanato i suoi contemporanei" 3. Questa era la rivolta di coloro che erano stati condannati ad un'amara solitudine dal culto che l'Italia accordava al poeta decadente. Era come il rombo della tempesta ed il tenebrore del pessimismo che gravavano sul cuore di giovani che fanno pensare alle figure tormentose della "Scapigliatura milanese." Come in quegli anni in cui il Romanticismo moriva ed il Naturalismo nasceva, le vecchie idee non erano che vuote formole e le nuove albeggiavano timidamente in un cielo gravido di procella. Gli annali letterari dei primi anni del nostro secolo sono pieni di figure ribelli che si torturano in un silenzio doloroso o gridano il loro sdegno nel paradosso e nel sarcasmo. Così confessa Federico Tozzi in Bestie, 1917: "La mia anima è cresciuta nella silenziosa ombra di Siena in disparte, senza amicizia, ingannata tutte le volte che ha chiesto d'essere cresciuta. E così molte volte uscivo di notte, scansando anche i lampioni" 4. Quest'abitudine di perdersi nella notte nera, di evitare gli uomini, di raccogliersi e vivere nel proprio pensiero è rimasta negli scrittori di oggi da Pirandello a Papini.
   Ciò che colpisce nella produzione degli scrittori contemporanei è il valore dato all'individuo. Il naturalismo aveva considerato


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l'uomo come parte della società, e lo aveva studiato in relazione alla società stessa. Per il naturalista la vita era una entità oggettivamente esistente al di fuori di lui. Di qui sorgevano il dramma ed il romanzo a tesi che discutevano le relazioni dell'uomo con la sua famiglia, la società, la patria ed il mondo. Nella letteratura contemporanea, l'individuo è considerato in sè stesso come una entità isolata ed un microcosmo di opposte tendenze. L'arte contemporanea italiana ha trasportato nell'uomo stesso il conflitto che i Greci posero fra il Fato e l'uomo, ed il Naturalismo fra il mondo esteriore e l'uomo. Anche quando i personaggi si muovono nella società moderna, essi impongono violentemente il loro individualismo sul mondo che li circonda, isolandosi da esso così che il loro individualismo rimane il fulcro dei fatti. Con la vita ridotta a questo impenetrabile monismo, è naturale conseguenza che il dramma umano debba svolgersi intorno alle vicende intellettuali dell'individuo. La società, la natura, l'universo non sono che uno schermo dove si proiettono le costruzioni cerebrali dell'artista. Questi intellettualizza gli avvenimenti più comuni della sua esperienza quotidiana, li guarda ironicamente, sempre lontano da essi, incapace di viverli e di afferrare la tangibilità delle sensazioni e dell'universo, finchè trova una luce che redime la vita attraverso i valori spirituali che egli le attribuisce. "Rivivo, dunque," scrive Papini in Un Uomo Finito, "Ma solo, terribilmente solo. Io sultano—non più Dio ma disinteressato come lui, se come lui non potei esser padrone. Debbo rifarmi su nuove traccie la vita—una vita tutta mia, una vera vita nuova" 5.
   Questo atteggiamento ha riportato la presenza del dolore nella letteratura contemporanea, il dolore, non nel senso di sofferenza personale, ma come coscienza di una legge universale che cerchia l'orizzonte della vita umana. Con D'Annunzio, come in altri scrittori decadenti, il dolore si era nascosto dietro il velo della glorificazione immaginifica e parolaia di una gioia orgiastica. Il ritorno allo studio immediato della vita si accompagna sempre alla presenza del dolore. Come produsse il pessimismo di Ugo Foscolo in sull'albeggiare del Romanticismo e la malinconia di Giovanni Verga nei primi anni del Naturalismo, così vena di un sentimento di tragicità gli scritti di molti scrittori contemporanei. Con il dolore, il dramma umano rientra nel romanzo. L'uomo si avventura nel laberinto della vita, conosce il peccato e l'errore, la passione ed il vizio, la debolezza ed anche la perversione, ma scopre sotto questo tumultuare di vita problemi spirituali, e trova nel proprio dolore un momento di suprema illuminazione. "Dove è il peccato, è Dio" si legge nel titolo di un romanzo di Mario Puccini.
   Da questo atteggiamento deriva anche il vivo interesse nel misticismo che si nota nella recente letteratura italiana. Giovanni Boine studiò i Giansenisti ed i mistici della Spagna. Paolo Osano, dopo il suo sogno di socialismo messianico, fini anche nel misticismo e scrisse La Rinascita dell'Anima, 1913. Giovanni Papini, anche nei


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giorni turbolenti del suo ateismo, cercò un rifugio nei mistici di tutti i paesi e di tutti i tempi. "In tutti trovavo qualcosa che si confaceva al mio caso: elevazione, sperdimento nell'essere, abbandono, speranze di più alte sorti" 6.
   La nuova generazione ha visto l'ecclissarsi delle ultime espressioni del Naturalismo e l'avanzarsi della nuova marea che porta con sè le aspirazioni ed i sogni di una nuova Italia. Chiamiamo questa nuova tendenza Idealismo, perchè coloro che la rappresentano hanno proclamato la realtà dell'idea come una sfida alla formola naturalistica "realtà nella sensazione." "Era la nostra," dice Giovanni Papini al suo amico Giuliano, "come la divina giovinezza, un'ubriachezza senza vino; un'orgia senza donne; una festa senza musica e balli. Era l'esultante dissotterramento quotidiano del nostro io, del nostro più intimo e vero io: lo scoprimento, il rifacimento perpetuo della nostra intelligenza di lirici del concetto e di scandagliatori di profondità" 7. Questa passione per l'idea scaldò il cuore di tutti gli uomini nuovi, e risplende nella loro produzione letteraria. Senza di essa è impossibile comprendere la loro arte. Papini presenta sè stesso nel caffè delle Giubbe Rosse a Firenze, dove egli ed i suoi amici si riunivano e discutevano idee e paradossi: "Quanti libri abbiamo stroncato, quante idee abbiamo riscoperto, quante glorie abbiamo stritolato, quanti sistemi abbiamo smontato!" 8. Queste discussioni, accalorate, donchisciottesche, hanno avuto una parte molto importante nella letteratura di oggi. I personaggi della novellistica contemporanea posseggono la terribile logica di Papini e dei suoi amici. Analizzano idee, sistemi, la vita, sempre in cerca di nuove idee, di nuovi sistemi, perché si rendono conto che la vita è in un continuo flusso e cambio.
   Il tono di questa letteratura riflette quello della conversazione quotidiana. La sintassi rimane spesso offesa, la magnificenza tradizionale dello stile è scomparsa, le descrizioni sono antiquate, ma vi è un fuoco, una fede ed una gioventù che ci ripagano di tutti i manierismi e leziosaggini della generazione precedente. Dimentichi della forma e dello stile, gli uomini cercano di nuovo una risposta al mistero della vita su cui guardano con vergini occhi. Lo scrittore racconta le sue avventure spirituali e intellettuali, rivelando i suoi pensieri più intimi, sempre appassionato, solitario, divorandosi il proprio cuore, distruggendo gli idoli del passato e del presente nel nome di una nuova fede. Da questo atteggiamento deriva il soggettivismo della maggior parte della letteratura contemporanea ed il suo carattere di confessione, come chiaramente si può vedere nei libri più significativi dei giorni nostri: Il mio Carso di Scipio Slataper, Un Uomo Finito di Giovanni Papini, Lemmonio Boreo di Ardegno Soffici, Ragazzo di Piero Jahier, Rubè di Giuseppe Antonio Borgese. È alla luce di questo senso morale e di vita che l'Italia è rientrata nella corrente della letteratura europea.

DOMENICO VITTORINI
University of Pennsylvania


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